Se mi dovessi definire mi definirei una ricercatrice. Mai appagata dal senso stesso dell’idea di ” risultato”, scavo dentro alcune tematiche che sono centrali per la mia vita, per il mio pensiero e per il mio corpo. Scavo, cerco e rivolto, fino ad avere la sensazione di essere esausta. Non ho tanto l’ impressione di aver trovato una risposta, quanto, al massimo, di essere approdata in dei luoghi che possono sembrare a prima vista dei punti di arrivo ma so che saranno piuttosto delle nuove stazioni di decollo.
Negli anni ho lavorato su diverse tematiche , ma alla fine le potrei tutte condensare in poco: la libertà del corpo nello spazio pubblico e nello spazio artistico. In particolare, mi sembra, la libertà mentale, fisica ed artistica delle donne.
Ma, comunque, non solo delle donne.
La ricerca si articola spesso nel comprendere la poetica di questa libertà, l’esplorazione della lingua con cui questa libertà si esprime di volta in volta a seconda del contesto o del focus su un elemento che la determina piuttosto che su un altro.
Questa libertà, che si può vedere come un movimento o il movimento, è qualcosa che genera energia. Energia cinetica ma anche energia esistenziale. Perché, semplificando, essa è la conseguenza di un processo per sganciarsi da uno stato di precedente compressione.
Questa libertà quindi è un movimento e poi è anche un’affermazione del sè. E’ sempre una specie di nuova nascita, un’ auto-generazione sociale ed artistica. E’ una re-invenzione ai nostri propri termini, alle nostre nuove regole. Che sono appunto l’ autodeterminazione, il piacere, la critica al potere costituito. Quel potere che spesso incarna la compressione stessa. Il potere delle regole e dei divieti, il potere della maggioranza e quello ancora più insidioso e violento del senso comune, delle leggi non scritte ma persistenti e inviolabili, che incarnano la tradizione, spesso intrecciata con le religioni. Che disegna lo status quo, cioè il contrario del movimento.
E’ un processo faticoso che tende ad illuminare gli angoli nascosti delle cose, dei meccanismi acquisiti che scambiamo come scelte o come istinto.
E’ un processo di destrutturazione ma anche di ricostruzione, quindi creativo e distruttivo insieme.
Non è solo questo il mio lavoro. E’ invece fatto anche da una stratificazione di livelli e di intrecciarsi di dettagli. Ma questa corrente di energia liberata è sicuramente il centro, il nucleo di tutta la mia ricerca. La libertà è la mia musa, ed è sempre qualcosa di dissacrante.
Gabriella Maiorino