floor work

ho cercato di fare mente locale e ricordarmi da dove sia nato il mio rapporto con il floor work e non sono riuscita ad identificare un momento, un’ esperienza o studio specifico con un maestro unico che io possa intravedere come origine. Penso, per quanto mi riguarda, che l’istinto a lavorare molto col pavimento mi viene principalmente da due condizioni personali, e poi, dopo, in seguito, e’ venuta l’incontro con insegnanti che mi hanno fatto approfondire diverse tecniche di lavoro. Le due condizioni sono prima di tutto il fatto di venire (da bambina e ragazza) da sport diversi e comunque da una vita molto fisica, molto all’aria aperta  molto  maschiaccia insomma, dove sostanzialmente la maggior parte del tempo la passi a terra (cadendo molto: da alberi, da muri da muretti, giocando a calcio e cascando, lottando, correndo etc etc). L’altra e’ di aver passato moltissime ore, per anni, in studio da sola a fare ricerca sul movimento ed il pavimento diventa facilmente un primo  partner a disposizione per sperimentare tutto lo sperimentabile. E per me e’ davvero diventato un partner, non solo fisico, ma con anche un potenziale immaginativo molto forte. Cioe’, ad esempio, a seconda di come immagino la consistenza sulla quale sto lavorando il mio corpo, la mia dinamica, puo’ avere diverse risposte. Il lavoro sul pavimento e’ comunque l’altra faccia del lavoro sul peso; lavorare sul peso studiando le diverse gradazioni di “cedimento” alla gravita’, porta necessariamente arriva al pavimento,al lavoro su e con esso; ma alla gravta’ si puo’ comunque opporre un’infinita’ di gradazioni di resistenza, cosi si arriva ad un altro, diverso lavoro sul pavimento e cosi via.

Prima di arrivare all’SNDO ad Amsterdam  era quindi qualcosa che avevo già’ ampiamente sperimentato, anche grazie ad incontri come quelli con Kirstie Simson, Ornella D’Agostino, Julyen Hamilton ma nell’SNDO ho incontrato diversi maestri con diversi approcci e diciamo che ho cominciato ad analizzare il floor work (anche) come una vera e propria tecnica (mi ricordo ora ovviamente David Zambrano, ma anche Andre’ Gingras e tanti altri).

Al livello di insegnamento ho cominciato a cristalizzare- sempre  relativamente perche’ l’atto del “fissare” non mi appartiene molto- delle proposte e metodi di lavoro negli anni, ma il vero e proprio lavoro di floor work piu’ tecnico, con materiale anche coreografato, mi e’ arrivato da uno spettacolo del 2006-2007, ZOO, in cui avevo creato una parte di coreografia pensando di avere delle lampade che si muovevano sui danzatori costringendoli inesorabilmente ad uno stato quasi larvale, di impossibilita’, come dire, di alzare la testa, di essere pienamente umani, quindi verticali. Da li’ in effetti ho sviluppato una sequenza di movimenti che in parte ancora oggi utilizzo nelle classi o nei riscaldamenti e che attraversano lo spazio dove tutto diventa: peso e pavimento, pavimento e peso. Nello spettacolo, essendo noi costretti a muoverci in quella porzione di spazio molto bassa era per me interessante capire come, attraverso il peso che puo’ vaggiare all’infinito nel corpo come una pallina in un flipper, regalare una forte articolazione e ricchezza e anche musicalita’  al  movimento che altrimenti sarebbe stato solo…strisciare.

Per anni quello che mi ha veramente interessato e’ stato come utilizzare il pavimento come partner che interagisce-sostiene-rimbalza etc ed ho spesso, non solo ma spesso, lavorato con un tipo di peso piuttosto rilasciato, disponibile, molto aperto ad essere “mosso” dal pavimento.

Continuo questo lavoro ma aggiungo altri livelli piu’ di recente. Livelli anche meno organici, piu’ di forza o molto piu’ di ricerca sugli anelli che congiungono il fuori e dentro dal pavimento, su e giu’ e anche molto livelli medi. Il lavorare di piu’ sullo squilibrio che non arrivi mai al suo punto finale, ma che possa far viaggiare in un costante nuovo squilibrio la dinamica.

Penso che un danzatore contemporaneo non possa non avere approcciato nella sua formazione un buon lavoro di floor work insieme ad altre tecniche. Credo che sia cio’ che contribuisce a rendere il movimento fluido, potente, animale, attivo e passivo allo stesso tempo (proprio perche’ il danzatore ha un partner concreto e quindi ha la libertà di non doversi assumere costantemente il carico muscolare di ogni movimento). E’ eventualmente acrobatico, e spesso anche ricco, espressivo.